Un tratto ricostruito della via Postumia sotto l'arco dei Gavi e Verona
























































































Il tracciato della via Postumia (in celeste)
PER UN POSSIBILE SENSO O SIGNIFICATO DELLA POSTUMIA.
PAESAGGI DI TRANSITO.


La Postumia si fece collante e luogo per andare da un estremo all'altro. Attraversare la propria regione: non é la stessa cosa se lo fai da appartenente o da chi é rivolto ad altra destinazione. Occorre imparare a transitarsi: sei consapevole in un luogo se non solo vi stai dentro, ma ancor più se sai andarci oltre. Trasmigrare é un modo fondamentale di essere. Pilotare il mutamento di identità. Un paesaggio insomma non devi subirlo, ma gestirlo. Sentirtelo e anche fuggirlo. Eppure l'evidenza rimane: non sei, se non stai e ti ritrovi. Si appetisce sempre ad essere da qualche parte. Ti senti Europeo, comunque stai in una qualche presa contrada, italiana o svedese che sia. Non è possibile né rifugiarsi né nascondersi, senza ritrovarsi in alcun luogo. Anche se si vuol battersela, ci si trova sempre un qualche anfratto, non ci si dilegua mai da se stessi e da un luogo che ci attornia. Esistere e stare in un luogo è imprescindibile. Solo la guerra mette recinti ed imposizioni. Gli Europei si sono fatti molte guerre, quindi hanno inventato molteplici recinti e frontiere, cambiando molte volte la condizione di essere stranieri, cioè di colui e colei che non può andar oltre o lo può fare con innumerevoli difficoltà. L'Europa da non molto si é regalata la pace o meglio, forse, la cessazione delle guerre interne. Pertanto si è fluidificata la pratica dell'oltrepassare e andare al di là di un luogo.. I territori si attraversano, non si chiudono. Allora ora, nell'Europa in cui é scoppiata la pace, forse è bene ricercare le pratiche dove sono avvenuti gli oltrepassamenti. Malgrado le guerre e le ferocia intestine, l'Europa é percorsa da sentieri comuni. È una provocazione ad andare a stanare le sue remotitudini. In genere non ci si accontenta di ristare in un generico luogo qualsiasi. Si desidera percepirsi dentro una località e goderne i vantaggi che ne derivano. Non è appetibile essere prigionieri di luoghi, per trovarsi dentro però occorre entrare. Certo i paesaggi hanno tutti i loro accessi e non è irrilevante da dove si arriva: non da ogni parte è infatti possibile o è concesso accedere. I punti di entrata si riconoscono, ad esempio, quando si transita da luoghi angusti e stretti come la Valsugana e si passa a quelli aperti e larghi, come la campagna veronese o si sbocca nell'ampio e dilatato, a Bassano o nella pianura solcata dai fiumi dopo la Piave. Accoglienza é anche respirare e muoversi attorno, planare con lo sguardo lontano, ad esempio dai pendii del castello di Susegana, con la guardata lanciata ad oriente, avendo ai piedi la pianura che dilaga in un sapore di mare all'orizzonte, oltre Oderzo. Ben pochi amano starsene in anfratti angusti dove il sole giunge a fatica e la notte è troppo buia oppure dove l'orizzonte non sfonda su confini lontani. Meglio giungere in luoghi aperti, dotati di acqua che scorre, in luoghi lussureggianti per ampi segni di vita, dove i luoghi stessi regalano piacere e dove il passare dei secoli ha depositato gioielli. Il passaggio ai luoghi appetibili non di rado lo si riconosce pure dall'apparire di brusche variazioni: non appena si trasborda ad esempio dall'acqua del mare e ci si appoggia sulle linee solide della costa, situazione che a tratti avviene lungo l'Altoadriatico, prevalentemente oltre e dopo il frastagliare delle lagune. Un rapido cambio di stato che i piedi riconoscono con chiarezza ed evidenza, perché s'alzano cadenzati nell'aria, poggiano sul suolo e non affondano. Poter camminare sopra o non poterlo fare costituisce una bella differenza, una differenza di stato, come l'irriducibile stato liquido e stato solido. Lo sanno bene i marinai, ma ancor più i naufraghi, ma lo sanno, con le varianti del caso, anche coloro che scendono dall'aereo a Tessera. La costa è una lunga linea calpestabile, eppure la costa in genere costituisce una presenza troppo estesa per presentarsi come una vera porta: occorrono alcuni punti di discontinuità per riconoscervi le vere entrate. Tu entri se poco prima iconosci un'autentica barriera, altrimenti sei smarrito e abbandonato a troppe scelte imprecise. Una porta è una scelta selettiva e i luoghi della riconoscibilità sono maggiormente nelle bocche di fiume e di laguna: da lì si valica all'interno e si individuano alcune direzioni anche per raggiungere un dentro profondo, in un luogo interessante e riposto. La Livenza, la Piave, la Brenta formano corridoi di rive e alvei per inseguire trasversalmente l'interno, vie d'acque a cui si sono accoppiate dorsali di strade di terra. Le valli stesse, quando si affacciano alla pianura, si trovano, o più precisamente sboccano, affacciandosi per lo più su una linea continua, quasi passassero da corridoi, rinserrati e instrettoiati dentro ammassi accartocciati di montagne, per affluire in un mare di terra, delimitato da una costa solida formata dal bordo delle alture, su piane che si dilatano in avanti, quasi offrissero un senso fisico di libertà e apertura. Valli e pianure si congiungono per determinare punti di svolta, scoperta di direzioni che vanno oltre, ad oriente oppure ad occidente, sui margini, sulle scarpe dei monti, senza l'obbligo di affondare del tutto nelle piane flottanti in avanti. Accade così quando l'Adige plana oltre le colline moreniche e incontra Verona; accade cosî quando l'Astico-Bacchiglione affluisce su Vicenza; accade ancora quando la Brenta sguscia tra l'Altipiano e il Grappa e accarezza Bassano, accade così quando la Piave dribbla il Montello e trionfa dentro la Marca gioiosa, mentre il Monticano con le sue acque smilze sfiora Conegliano e Oderzo e il/la Livenza inanella Sacile unendosi al Meschio e insieme contornano il Cansiglio, con i suoi monti sentinella. È il pedemontano, il balcone da cui godersi tutte queste cose, ossia la costa dei pendii e dei promontori di terra, linea solida che si affaccia oltre le valli, in genere uno straordinario poggio per scrutare i luoghi entro cui si sta dentro. Un dentro largo, non opprimentemente né angusto. Balconate su Asolo o Conegliano, metti caso. Luoghi di dolcissima architettura e pittura. Non appena ci si riconosce posizionati tra la linea pedemontana o riviera dei monti e la linea aperta di costa del mare, magari lontana, ma leggibile, si ha la netta percezione di aver lasciato o avere alle spalle "gli altri" e di essere entrati nel luogo vero, che quasi sempre coincide con il "nostro" luogo, dentro un territorio che ci appartiene e a cui apparteniamo. Eppure vi sono persone che non hanno mai avuto la sensazione di essere entrati dentro il loro territorio, semplicemente perché non vi sono mai usciti, in esso vi sono nati e per lo più vi vivono a lungo. Senza confronti. Il luogo che li ha avvolti e il loro ombelico sono la stessa cosa. È una specie rara, che sta scomparendo: li chiamano nativi. Essi ci sono sempre stati, dentro. Il loro luogo non è un dentro, ma semplicemente la terra tutta, perché non ne conoscono altra. Confondono il loro qui, con il tutto. Non sopportano le differenze e l'inaspettato. Sono essi stranieri rispetto al mondo intero. Non si sono mai accorti che l'orizzonte non è fermo e che si sposta spostandosi. Ci sono strade che fanno abitare fuori e recano gli stranieri, ma anche ci fanno diventare stranieri. Star dentro comunque non comporta soltanto venir dentro all'esterno, implica pure muoversi all'interno, fino all'operazione inversa esplicita che è andar fuori. Andar fuori significa nascere, ossia cominciare a prendere le distanze dalla madre, cominciare a recidere i legami, anzi scegliere e andar incontro ai legami.. Solo quando hai mossi passi lontano dalla madre sei veramente nato. Andar fuori comporta concretamente uscire da un determinato territorio o regione ed entrare in un'altra regione, ossia immettersi in un diverso dentro. I dentro inconosciuti possono essere anche contigui e allora si esce da una direzione e si entra in una direzione prossima. Esiste comunque la condizione che si entri da un fuori, si transiti all'interno di un territorio, per andare dalla parte opposta o piú lontana per infilarsi in un differente dentro che in realtà porta ad un vero altrove. Uno spiazzamento di identità insomma, una transitorietà di essere. Come essere Tedeschi o Francesi o Slavi oppure Bizantini, senza sentirsi inesorabilmente Veneti. Chi attraversa un diverso verso un altro diverso, in realtá non appartiene, usa semmai un territorio non suo per giungere altrove. Lo guida una passione e un oltrepassamento. E mentre transita occupa un paesaggio tra parentesi, perché con il corpo é lì (magari solo in movimento), ma con la mente e i desideri é altrove. Tale spostamento descrive un passar oltre, ossia un transitare lungo linee che interessano l'intera ampiezza di un territorio, da Verona ad Aquileia, dal Polesine alla Carnia, ad esempio. Per motivi pratici le linee tendono a svilupparsi nelle modalità più semplificate possibili, ossia tendono a rendere capaci di oltrepassare da un polo all'altro di un territorio con il minore moto tempo possibili. Ad esempio dal Trentino alla Lombardia o dal Friuli al Tirolo meridionale o Alto Adige. Non di rado le tracce di attraversamento disegnano insieme tre fasce: quella che lambisce il limite delle montagne e si infittisce di narrazioni con borghi e contrade che sono singolarità come il pedemontano veneto, la linea poi che sfiora lo snodarsi delle coste e racconta storie di natanti e quella infine che attraversa la linea mediana nel cuore delle terre, dove ora ristagnano le città più cospicue, assediate da mezzi meccanici. E dove la civiltà egemone fa risiedere i poteri più forti. Durante le vicende più lontane degli umana, gli attraversamenti avvenivano invece nel pedemontano, dove era possibile sottrarsi un po' alle fanghiglie e paludi che pullulavano le pianure a causa della poca pendenza di suolo e alla precarietà degli smaltimenti. I transiti, nel lontano passato, non sono avvenuti per lo più nella zona mediana come di solito si realizza al tempo attuale, facilitati dalle tecnologie costruttive delle strade e dei ponti con imponente impiego di macchinari e materiali. Nel lontano passato i luoghi privilegiati di attraversamento stavano nelle fasce pedemontane dove risultava più facile sottrarsi alle zone inacquitrinate e molli e nelle foreste che ti inghiottivano senza orizzonte, più in basso. Inoltre la linea pedemontana regalava altri due pregi: conduceva facilmente agli imbocchi delle valli e quindi alle aperture per luoghi anche lontani (sapore di Danubio oppure suggerimenti e visioni di Tirreno), ma intercettava inoltre i fiumi, in genere nei punti in cui essi non sono ancora divenuti troppo ampi e profondi, situazione ottima per scoprire corridoi di guado o terrosità opportune per costruire ponti non troppo impegnativi per ampiezza di campata o arcate e facendo fronte a masse di acque in genere ancora modeste. La Postumia si snoda sulla scia di queste alchimie, é un filamento stradale, cresciuto prendendo via via forma più definita a partire dalle condizioni evocate più sopra. Sicuramente dapprima si agglutinarono tratti di collegamento, soprattutto mediante il transito degli animali e delle loro transumanze; poi i tratti furono 'incollati' fra loro' costituendo percorsi più lunghi e rafforzando la tenuta del fondo stradale. Ipotesi di lunghezza non raggiunta e mete indeterminate se lontane. Ogni volta che si formava un tratto maggiormente unitario e allungato con un proprio avvio e uscita, contemporaneamente si rafforzava l'idea di identità e organizzazione di un territorio e si rinvigorivano pratiche identitarie per stare dentro un territorio. Un tale lavorio di costruzione del transito e dell'intero è solitamente durato millenni. Anche nella vita individuale l'identità si affaccia imprecisa e incerta e tanto più si consolidano e si impratichiscono gli itinerari e con più determinazione dentro una mente sempre meno confusa (almeno si spera) e più chiaramente si collegano i percorsi di raccordo dei luoghi esterni e ancor più si rafforza la dimensione della vita attiva che agisce e trasforma perché sa dove andare per agire, avendo consapevolezza su cosa trasformare e pregustando la forza per aprire altri varchi. La coscienza è una strada costantemente in cantiere. Se fai, sei. Si scopre agendo e si costruisce così la coerenza e l'identità per aggregazioni successive, divenendo unità sempre diversa e capace di nuove lontananze. L'identità libera non ha paura di differenziarsi. Accade però che l'esistente frapponga barriere, ad esempio un fiume di dimensioni e complessità tali da rendere arduo costruirvi un ponte. Ha conosciuto questa situazione anche la via Postumia quando si é affacciata ai bordi della Piave, il fiume uscito dalle strette di Valbelluna che, dribblata la arrotondata altura del Montello, si immette in un suolo incredibilmente sassoso e ciottoloso che essa stessa ha contribuito e contribuisce a formare. Il letto dell'alveo si dilata, diventa un esorbitante slargo biancastro, pullulante di ciottoli. Le acque un po' si occultano e sprofondano in una superficie palesemente drenante, altre parti più cospicue, a seconda delle piene, scavano alvei transitori o mobili dentro la piana sassosa del nastro ghiaioso; è allora possibile tentare l'oltrepassamento camminando traverso e guadando in limitati punti accessibili che però cambiano dopo ogni piena. Però cui non é mai detto con certezza dove passeranno le masse d'acqua, quanti fiumi dentro il grande alveo serpenteggeranno con movimenti ondivaghi. Quando poi giungono le grandi grandi masse d'acqua ingolfanti dai mille rivoli delle montagne, allora ovunque é una alluvione torbida e gran parte del greto e delle grave diventano superficie vorticosa di onde. Giungono però anche i tempi secchi e l'alveo s'imbianca nuovamente di sassi e addirittura sembra rendere possibile il transito oltre il grande nastro ghiaioso. Eppure tutto questo é effimero, infatti basta che le montagne si inzuppino di pioggia e la scarichino a valle, e nuovamente, come una violenza ricorrente, le grave ghiaiose vengono travolte e la faccia del fiume risulta completamente riformattata. Come può una strada pensarsi luogo che va oltre, se ha una barriera bizzosa e mutevole che si para davanti? Ma come può anche la mente pensare e volere un passaggio stabile e sicuro, come un ponte ben piantato che ti porta di là? Una mente libera cerca risposte autonome sopratutto in situazioni complesse dove il variabile è la costante. E nella vita reale ben difficilmente é una linea retta quella che aiuta a congiungere due luoghi o punti o azioni. Spesso a gestire le cose in piccoli ambiti é più intrigante che gestire le grandi distanze di cui non si conosce l'intreccio dell'intorno dettagliato, al massimo si tracciano in modo semplificato le direzioni di massima. Linee astratte, non calpestii concreti. Raramente gli abitanti del luogo coltivano visioni lunghe. Sono le persone di potere o visionarie per lo più o soltanto che tracciano i percorsi delle distanze dilatate. Esse gestiscono le connessioni, non solo le presenze. Legano il lontano, travalicano i particolari. Quando i collegamenti di percorsi si allungano e assumono le grandi dimensioni, allora di solito un territorio e la sua popolazione locale perdono autonomia e divengono sudditi, se addirittura non subalterni al potere che é stato in grado di costruire i percorsi di attraversamenti plurimi e abbraccianti territori sconfinati, sconfinamenti che attraversano molti 'dentro' diversi, ma anche li accomunano all'interno di un medesimo legante stradale. Anche i viaggi della coscienza si sperdono nelle abnormi distanze e si affidano al potere dell'immaginazione o cedono al predominio di chi dice e opera supponendo di tutto gestire e tutto sapere. I solo senza verità addomesticano i pigri della conoscenza e delle anime sfibrate. Questo é avvenuto per la via Postumia, quando, secondo la volontà e la direzione del console Postumio, venne realizzata nel 148 a.C., collegando la città di Genova sul Tirreno e, inoltrandosi dentro la Valle Padana centrale risaliva sul Pedemontano lombardo o gallico. Superato il Mincio, la Postumia non si perse ma proseguì lungo il Pedemontano veneto, travalicando tutti i suoi fiumi, per inoltrarsi nelle terre dei Carni e sopraggiungere la città, allora regina dell'Adriatico, e cioè Aquileia. Qui però concorreva anche il corridoio teutonico, che lungo le direttrici del Tagliamento prendeva spunto dallo scorrere delle acque umorali e discontinue per tracciare la via che conduceva all'estremo nord, attraverso le terre dei Vindelici e del Norico. Un atto di determinazione e dominio politico-militare, transitato nella pancia di popoli che raramente si attraversavano l'un l'altro, fra loro. E pacificamente. Le strade sfarinano i particolari dei paesaggi e assumono il volere dei poteri determinati e impositori che rendono unico il frammentato. Questo immane lavoro di riconnessione della Postumia non si é cancellato nei millenni e rappresenta anche tutt'oggi, assieme ad altre forme stradali più aggiornate, una delle dorsali di attraversamento del Veneto. Le identità dei popoli soltanto in parte vengono costruite da loro stessi. Un'azione decisiva emerge dal bisogno o opportunità di interagire con i popoli prossimi e dal progetto politico di forze sovradimensionate per tenere insieme terre sparpagliate dentro una strategia comune. É quello che ha fatto l'impero romano che ha decostruito le lontananze in unità di dominio. L'Europa centro-sud si tessé insieme mediante legacci di lingue neolatine, ma forse ancor più con i tracciati viari latini che hanno determinato gli stili di connessione almeno fino al Danubio e la sponda meridionale del Reno. Lungo tali sentieri delle unità e incontri hanno agito congiuntamente poteri successivi, spesso molto diversi fra loro: Attila e gli Unni, echi asiatici produttori di un asse danubiano-renano, prima aggregazione dell'Europa centrale con entrambe le rive di Danubio e Reno – visione connettiva est ovest del centro Europa; Teodorico e i Goti, poi, s'infilarono nel corridoio che va dall'Illiria e Pannonia, per insediarsi nel nodo della Postumia in Verona; i Longobardi, sempre su quelle percorrenze, all'incirca, esercitarono il loro sogno nordico-baltico volto a costruire uno stato nel sud. Non mancarono, in sequenza, gli Ungari, la Serenissima, Napoleone e gli Asburgo: tutti desideri di potere transitati lungo le tracce della Postumia e dintorni, connettivi di Europe ora Atlantiche, ora Baltiche ora danubiano-pontine. Identità ruzza, in facimento e definizione. Nel prosieguo della storia la Postumia allenta i suoi ricalchi, viene assalita, quasi declassata, transitano i treni, si infilano auto e camions, scorrono le autostrade, gli afrori dei cavalli e dei carri si stingono in paesaggi sbiaditi e scialbi . Scoppiettano ed esalano respiri petrolei. L'ansia cementizia oblivia le abilità del far germinare paesaggi e luoghi. Tutto ridiscende nella media pianura e sbiadiscono i paesaggi pedemontani. Si densificano anfratti diffusi e sparpagliati di metri cubi. L'orizzonte si fa corto, irto di capannoni industriali e anonime densità edilizie, una linea più o meno individuabile fra un intrico di dedali dove si fanno sovrani i metri cubi e arretrano i luoghi. Dell' antica Postumia si situano gioielli incastonati sui pendii addolcì i del fronte allungato delle alture dalle montagne al declivio delle colline, promontori su un esteso mare di terra: Marostica, Cittadella, Castelfranco, Oderzo, oppure, distesi sui balconi collinari, gioielli che guardano lontano: Asolo, Susegana, Conegliano... Piaceri per stare, piaceri per transitare e oltrepassare. Anzi o talvolta è quello che ha avuto il tempo di rigenerarsi; sopravvissuto é quanto non ha avuto la forza di accogliere l'avveniente, la Postumia viva é un possibile organo che non rinuncia alle sue squame antiche, ma ha bagliori e guizzi di un pesce vivo e vegeto che accoglie scintillii del sole contemporaneo. Anche un lungo percorso che forse ,e anche no, la ingloberà dentro il Quinto Corridoio, quello che attraversa il ventre da Lisbona e Kiev. Forse, ma molto forse, allora la microscopica Postumia potrebbe anche uscire di scena. La memoria dimentica quando non si transita più, nemmeno con le parole e le immissioni incerte delle voci.

Gabriele Righetto
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